Avvocati: pagamento contributi a mezzo F24 e istituzione nuova causale

 

L’Agenzia delle entrate ha provveduto a istituire un’ulteriore causale contributo per il pagamento del contributo minimo integrativo attraverso modello F24 da parte degli iscritti alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense (Agenzia delle entrate, risoluzione 24 maggio 2023, n. 24/E). 

Come ormai noto, a seguito della Convenzione stipulata in data 26 novembre 2020 tra l’Agenzia delle entrate e la Cassa Forense, gli iscritti a tale istituto di previdenza hanno la possibilità di pagare i contributi previdenziali e assistenziali dovuti utilizzando il modello F24.

 

L’Agenzia ha già istituito alcune causali con risoluzioni del 2021 e interviene ora, a seguito di espressa richiesta da parte di Cassa Forense, a predisporne una nuova per il pagamento del contributo minimo integrativo.

 

Pertanto, con la risoluzione in oggetto, è stata istituita la causale “E107” denominata “CASSA FORENSE – contributo minimo integrativo” che sarà operativamente efficace a partire dal 5 giugno 2023.

 

Vengono anche fornite le istruzioni per il corretto inserimento della causale di nuova introduzione nel modello.

 

In sede di compilazione del modello F24, la causale in argomento è esposta nella sezione “Altri enti previdenziali e assicurativi” (secondo riquadro), nel campo “causale contributo”, esclusivamente in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a debito versati”, riportando:

 

– nel campo “codice ente”, il codice “0013”;

 

– nel campo “codice sede”, nessun valore;

 

– nel campo “codice posizione”, nessun valore;

 

– nel campo “periodo di riferimento: da mm/aaaa a mm/aaaa”, il mese e l’anno di competenza del contributo da versare, nel formato “MM/AAAA”.

 

Fruibilità Art Bonus: i chiarimenti dell’Agenzia delle entrate

 

L’Agenzia delle entrate, con risposta a interpello del 24 maggio 2023, n. 331, ha fornito chiarimenti in tema di credito di imposta Art Bonus e erogazioni liberali finalizzate allo specifico sostegno dell’attività di conservazione, manutenzione e valorizzazione di beni culturali.

Il quesito sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle entrate riguarda l’ambito di applicazione dei benefici di cui all’articolo 1, comma1, del D.L. n. 83/2014 (c.d. Art Bonus), in riferimento ad erogazioni liberali a sostegno di due complessi monumentali di appartenenza pubblica gestiti da un ente che adotta un sistema di rilevazione contabile oggettivamente in grado di consentire la tracciatura della loro integrale destinazione a sostegno dei suddetti beni e di iniziative volte a consentirne la piena fruibilità pubblica.

 

L’articolo 1 del D.L. n. 83/2014, al comma 1, prevede un credito d’imposta, nella misura del 65% delle erogazioni effettuate in denaro da persone fisiche, enti non commerciali e soggetti titolari di reddito d’impresa per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, per il sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica, delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione, delle istituzioni concertistico-orchestrali, dei teatri nazionali, dei teatri di rilevante interesse culturale, dei festival, delle imprese e dei centri di produzione teatrale e di danza, nonché dei circuiti di distribuzione e per la realizzazione di nuove strutture, il restauro e il potenziamento di quelle esistenti di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo. Tale credito d’imposta riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali nei limiti del 15% del reddito imponibile ed ai soggetti titolari di reddito d’impresa nei limiti del 5 per 1000 dei ricavi annui, ripartito in tre quote annuali di pari importo è altresì riconosciuto anche qualora le erogazioni liberali in denaro effettuate per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici siano destinate ai soggetti concessionari o affidatari dei beni oggetto di tali interventi.

 

Come precisato nella circolare n. 24/E del 31 luglio 2014, il credito d’imposta spetta per le erogazioni liberali effettuate in denaro per i seguenti scopi:

interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici;
– sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica, delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione, delle istituzioni concertistico-orchestrali, dei teatri nazionali, dei teatri di rilevante interesse culturale, dei festival, delle imprese e dei centri di produzione teatrale e di danza, nonché dei circuiti di distribuzione;
– realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti di Enti o Istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo;
– realizzazione di interventi di restauro, protezione e manutenzione di beni culturali pubblici qualora vi siano soggetti concessionari o affidatari del bene stesso.

 

Come chiarito dal Ministero della cultura, in riferimento alla fattispecie in esame, a seguito della modifica statutaria il Comune esercita un controllo diretto ed esclusivo in riferimento alla funzione di conservazione, manutenzione e valorizzazione dell’intero patrimonio culturale e artistico delle città. In forza di due convenzioni triennali sono stati poi regolati i rapporti tra la fondazione e il Comune per la valorizzazione, lo sviluppo e lo svolgimento delle attività culturali, contestualmente all’assegnazione in favore dell’istante di una pluralità di immobili funzionali allo svolgimento delle finalità statutarie. L’ente, dunque, risulta istituito per iniziativa prioritaria di un soggetto pubblico e gestisce un patrimonio culturale di appartenenza pubblica. La sostanza pubblicistica è supportata da una serie di indici sintomatici:

– costituzione dell’ente da parte di soggetti pubblici;

– maggioranza pubblica dei soci e dei partecipanti;

– finanziamento con risorse pubbliche;

– gestione di un patrimonio culturale di appartenenza pubblica;

– assoggettamento ad alcune regole proprie della P.A. o al controllo analogo.

Resta comunque imprescindibile l’integrazione della qualifica di istituto o luogo della cultura, di cui all’articolo 101, D.Lgs. n. 42/2004. Pertanto, risulta necessario, ai fini dell’ammissibilità all’Art bonus, che l’ente di appartenenza sostanzialmente pubblica non persegua finalità istituzionali diverse, non riconducibili a quelle proprie di un istituto o luogo della cultura.

Ciò premesso, nulla osta alla riconduzione dell’ente al novero dei suddetti istituti o luoghi della cultura, essendo la sua funzione esclusiva la conservazione e valorizzazione dei beni culturali. Il parere del Ministero della cultura risulta, quindi, favorevole all’ammissibilità all’Art Bonus delle erogazioni liberali destinate a sostenere tali complessi monumentali. Infine, in riferimento alla possibilità di perseguire i propri fini istituzionali, anche per gli altri immobili di titolarità del Comune ricevuti in comodato, tramite un sistema di contabilizzazione delle erogazioni liberali che ne consenta una autonoma e distinta rilevazione contabile, l’Agenzia delle entrate evidenzia che, l’articolo 1, comma 5, della Legge n. 106/2014, prevede che i soggetti beneficiari delle erogazioni liberali comunichino, mensilmente, al Ministero della cultura l’ammontare delle erogazioni ricevute nel mese di riferimento, provvedendo, inoltre, a dare pubblica comunicazione di tale ammontare, nonché della destinazione e dell’utilizzo delle erogazioni stesse.

 

Partecipazione a una STP costituita ex lege n. 183/2011

 

Risulta possibile per l’avvocato, nel rispetto di quanto previsto dall’ordinamento della professione forense, partecipare a una STP costituita ex lege n. 183/2011, senza assumere la qualifica di socio professionista (CNDCEC, Pronto ordini del 17 maggio 2023, n. 51).

Il quesito sollevato da un Ordine professionale riguarda, in particolare, il caso di tre soci professionisti, iscritti ODCEC, che devono procedere con l’iscrizione di una STP avente per oggetto sociale “la società svolge esclusivamente attività libero professionali ed intellettuali che formano oggetto della professione di dottore commercialista, revisore legale, esperto contabile quali previste dall’art. 1 del D.Lgs. 28/05/2005 n. 139 e ss.mm.ii., consulente del lavoro, avvocato, e comunque ogni e qualsiasi professionista iscritto in Albi professionali le cui attività sono riservate” che non ha indicato nell’atto costitutivo l’attività prevalente.

 

L’articolo 10, comma 4, lett. a), Legge n. 183/2011 stabilisce che possono assumere la qualifica di società tra professionisti le società il cui atto costitutivo preveda l’esercizio in via esclusiva dell’attività professionale da parte dei soci.

Alla lett. b) dello stesso comma, poi, è precisato che l’atto costitutivo della STP può prevedere l’ammissione in qualità di soci:
– dei soli professionisti iscritti ad ordini o collegi, anche in differenti sezioni, nonché dei cittadini degli Stati membri dell’Unione Europea, purché in possesso del titolo di studio abilitante;
– di soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche o per finalità di investimento.

Il Consiglio cita, altresì, l’articolo 10, comma 8, Legge n. 183/2011, nel quale è disposto che la STP possa essere costituita anche per l’esercizio di più attività professionali. Il successivo riferimento normativo riguarda, poi, l’articolo 1 del D.M. n. 34/2013, nel quale si precisa che:

– la “società tra professionisti” è la società costituita secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile e alle condizioni previste nell’articolo 10, commi 3-11, della Legge n. 183/2011, avente ad oggetto l’esercizio di una o più attività professionali per le quali sia prevista l’iscrizione in apposti albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico;
– la “società multidisciplinare” è la società tra professionisti costituita per l’esercizio di più attività professionali ai sensi dell’articolo 10, comma 8, della Legge n. 183/2011.

L’articolo 8, comma 2, D.M. n. 34/2013, dispone che la società multidisciplinare sia iscritta presso l’albo o il registro tenuto dall’ordine o collegio professionale relativo all’attività individuata come prevalente nello statuto o nell’atto costitutivo.

Il CNDCEC, dunque, precisa che i soci non sono obbligati a individuare l’attività prevalente, essendo quest’ultima una scelta del tutto discrezionale, ma qualora una delle attività dedotte nell’oggetto sociale non sia connotata in termini di prevalenza, la STP multidisciplinare dovrà essere iscritta negli albi di appartenenza dei singoli professionisti.

Premesso ciò, stante quanto previsto dall’articolo 10, comma 4, lett. a), Legge n. 183/2011 e dall’articolo 1, comma 1, D.M. n. 34/2013, per l’iscrizione di STP multidisciplinari è necessario che nella compagine sociale sia presente almeno un socio professionista legalmente abilitato all’esercizio delle professioni individuate nell’oggetto sociale. Nel caso di specie, perciò, la STP, costituita esclusivamente da tre soci iscritti all’albo professionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti contabili, dovrebbe avere per oggetto esclusivo l’esercizio dell’attività professionale che forma oggetto della professione di dottore commercialista, esperto contabile e revisore dei conti.

Il Consiglio, infine, riguardo alla partecipazione da parte di un socio avvocato a una STP ex lege n. 183/2011, richiama il parere reso in data 15 dicembre 2022 dal Consiglio Nazionale Forense, che non ha ritenuto applicabile la disciplina generale recata dalla Legge n. 183/2011, bensì quella recata dall’art. 4-bis della Legge n. 247/2012, espressamente dedicata all’esercizio della professione forense in forma societaria, con i corollari che:

– l’esercizio della professione di avvocato in forma societaria sia riservato in via esclusiva agli avvocati o alle STA;

– l’esercizio della professione forense non è consentito a società multidisciplinari costituite ex lege n. 183/2011.

Ciononostante, conclude il CNDCE, è possibile che l’avvocato possa partecipare a una STP costituita ex lege n. 183/2011 senza assumere la qualifica di socio professionista (ad esempio come socio per finalità di investimento).

 

Amministratore consociata estera: trattamento fiscale del compenso

 

L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti sul corretto trattamento fiscale del compenso di amministratore, da riversare ad una società consociata UE, con riguardo alla deducibilità del costo e all’eventuale ritenuta da operare all’atto del pagamento (Agenzia delle entrate, risposta 22 maggio 2023, n. 330).

La fattispecie sottoposta all’esame dell’Agenzia delle entrate riguarda la definizione del corretto trattamento fiscale da adottare da parte di una società italiana che eroga un compenso per l’attività di consigliere di amministrazione ad un dipendente di una consociata estera, verso la quale sussiste un obbligo contrattuale di riversamento dell’emolumento.

Ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera e), del TUIR, non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente i compensi reversibili di cui alle lettere b) ed f) del comma 1 dell’articolo 50 del TUIR, trattasi, nello specifico, di somme e valori che il prestatore di lavoro percepisce da soggetti diversi dal proprio datore di lavoro per incarichi svolti in relazione alle funzioni della propria qualifica e in dipendenza del proprio rapporto di lavoro.

La circolare del MEF n. 326/1997 ha chiarito che l’assimilazione al lavoro dipendente deriva dal fatto che l’attività venga fornita dal dipendente in relazione a un ordine di servizio ricadente nel rapporto di lavoro subordinato intrattenuto in via principale. Dunque, restano esclusi dal novero dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente quelli che per clausola contrattuale devono essere riversati al datore di lavoro, senza però comportare la loro qualifica come redditi di lavoro dipendente. 

La predetta circolare MEF spiega, inoltre, che tali compensi reversibili non devono essere assoggettati a tassazione neanche quali redditi di lavoro dipendente, in quanto sono imputati direttamente al soggetto al quale, per clausola contrattuale, devono essere riversati.

L’Agenzia delle entrate fa anche riferimento alla nota n. 8/166 del 17 maggio 1977, nella quale si riconosce che non concorrono alla determinazione del reddito complessivo soggetto all’IRPEF i compensi reversibili percepiti dai collaboratori coordinati e continuativi tra i quali rientrano i consiglieri di amministrazione. Pertanto, l’Agenzia ritiene, in merito al caso di specie, che i compensi corrisposti al dipendente in relazione all’incarico di consigliere di amministrazione, non assumano rilevanza ai fini della determinazione del reddito.

Infine, viene esclusa anche l’applicabilità dell’art. 16 della Convenzione tra Italia e Paese UE, che prevede una potestà impositiva concorrente per le retribuzioni che un residente di uno Stato contraente riceve come membro del consiglio di amministrazione o del collegio sindacale di una società residente nell’altro Stato contraente. Difatti il pagamento, nel caso in oggetto, è effettuato direttamente alla consociata e non al dipendente.

 

Soggetta a IVA la sanzione per violazione del contratto di parcheggio

 

L’Agenzia delle entrate ha fornito, con risposta del 9 maggio 2023, n. 320, precisazioni su trattamento ai fini IVA della sanzione per la violazione da parte dell’utente delle condizioni generali di contratto di parcheggio.

Il quesito sottoposto all’Agenzia delle entrate proviene da una società operante nel campo della gestione e del controllo dei parcheggi e che utilizza un innovativo sistema di scansione delle targhe. Tale sistema prevede la possibilità di parcheggiare gratuitamente l’auto per un certo lasso di tempo, di solito tra i 60 e i 120 minuti, superato il quale scatta la violazione del contratto tra la società e i singoli utenti del parcheggio, che dovranno pagare di conseguenza una sanzione. Proprio riguardo al regime fiscale di questa sanzione, l’istante chiede se sia soggetta a IVA oppure esclusa.

 

L’Agenzia ha chiarito che, ai sensi dell’articolo 3, primo comma, del Decreto IVA, costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte e che, ai sensi dell’articolo 13, comma 1, dello stesso decreto, la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore, secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti.

Tuttavia, il successivo articolo 15, primo comma, n. 1), enuncia che non concorrono a formare la base imponibile le somme dovute a titolo di interessi moratori o di penalità per ritardi o altre irregolarità nell’adempimento degli obblighi del cessionario o del committente.

 

Il presupposto per l’applicazione di questa disposizione è l’esistenza di un risarcimento in senso proprio, dovuto a ritardi o inadempimento di obblighi contrattuali.

La risoluzione 23 aprile 2004, n. 64/E precisa, che le somme corrisposte a titolo di penale per violazione di obblighi contrattuali non costituiscono il corrispettivo di una prestazione di servizio o di una cessione di un bene, ma assolvono una funzione punitivo-risarcitoria.

Tali somme, dunque, sono escluse dall’ambito di applicazione dell’IVA per mancanza del presupposto oggettivo.

Tuttavia, l’Agenzia propone un confronto con una fattispecie valutata dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 20 gennaio 2022, C90/20 che presenta profili di similitudine con caso in questione. Ne deriva, in conclusione, l’assunto che la sanzione di importo fisso applicata e riscossa dalla società per la violazione da parte dell’utente delle condizioni generali di contratto sia da considerare quale corrispettivo di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso e assoggettata in quanto tale all’IVA.