Superbonus e pro-rata IVA: sconto in fattura “parziale”

 


L’Agenzia deIle Entrate ha chiarito che i soggetti che operano in regime pro-rata, a fronte delle spese ammesse al Superbonus possono esercitare l’opzione per lo sconto in fattura solo fino all’importo del corrispettivo dovuto al netto dell’IVA. (Risposta 15 marzo 2022, n. 118).

In tema di Superbonus l’Iva non detraibile, anche parzialmente, dovuta sulle spese agevolabili, si considera nel calcolo dell’ammontare complessivo ammesso al beneficio, indipendentemente dalla modalità di rilevazione contabile adottata dal contribuente.
In altri termini l’IVA non detraibile, anche parzialmente, costituisce una componente di costo degli interventi agevolabili da considerare ai fini della determinazione dell’ammontare complessivo ammesso al Superbonus.
In caso di soggetti che applicano il pro-rata IVA (soggetti che effettuano sia operazioni imponibili sia operazioni esenti), il diritto alla detrazione dell’IVA spetta in misura proporzionale alle operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione e il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione calcolata in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto alla detrazione, effettuate nell’anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’anno medesimo.
In corso d’anno, la detrazione è provvisoriamente operata con l’applicazione della percentuale di detrazione dell’anno precedente, salvo conguaglio alla fine dell’anno. I soggetti che iniziano l’attività operano la detrazione in base ad una percentuale di detrazione determinata presuntivamente, salvo conguaglio alla fine dell’anno.
Tale meccanismo di determinazione dell’Iva detraibile comporta che al momento di emissione delle fatture relative agli acquisti, l’IVA non detraibile è determinata in via provvisoria, in quanto la relativa entità non è puntualmente determinata.
Nel caso di spese ammesse al Superbonus, l’applicazione del pro-rata non consente di determinare la quota di Iva effettivamente indetraibile al momento di emissione delle fatture. Ne consegue, che qualora si intenda optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione, per un contributo sotto forma di sconto in fattura anticipato dal fornitore, questo deve essere calcolato solo fino all’importo del corrispettivo dovuto al netto dell’IVA (sconto “parziale”).
Per la quota di IVA indetraibile è possibile beneficiare della detrazione del 110 per cento in sede di dichiarazione dei redditi, una volta determinata la percentuale di detrazione dell’anno, in relazione alla quota effettivamente rimasta a carico.

 

Bonus Farmacie: pronto il codice tributo

 


Istituito il codice tributo per l’utilizzo in compensazione, tramite il modello F24, del credito d’imposta a favore delle farmacie per l’acquisto e il noleggio di apparecchiature di telemedicina (Agenzia Entrate – risoluzione 14 marzo 2022, n. 11).

L’art. 19-septies, D.L. n. 137/2020, conv., con modif., dalla L. n. 176/2020, ha previsto il riconoscimento a favore delle farmacie di un contributo sotto forma di credito d’imposta nella misura del 50% delle spese per l’acquisto e il noleggio, nell’anno 2021, di apparecchiature necessarie per l’effettuazione di prestazioni di telemedicina.
Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione, ai sensi dell’art. 17, D.Lgs. n. 241/1997, mediante modello F24 da presentare, esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate, pena il rifiuto dell’operazione di versamento, a decorrere dal giorno 15 del mese successivo a quello in cui è stata data comunicazione al beneficiario del riconoscimento del credito da parte del Ministero della salute.
In tal senso, per consentire l’utilizzo in compensazione, tramite modello F24, del credito d’imposta, l’Agenzia delle Entrate ha istituito il seguente codice tributo:
– “6959” denominato “credito d’imposta a favore delle farmacie per favorire l’accesso a prestazioni di telemedicina nei piccoli centri – art. 19-septies del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137”.


In sede di compilazione del modello F24, il suddetto codice tributo deve essere esposto nella sezione “Erario”, nella colonna “importi a credito compensati”, ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento dell’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”. Nel campo “anno di riferimento” è indicato l’anno di riconoscimento del credito d’imposta, nel formato “AAAA”.
Il Ministero della salute trasmette all’Agenzia delle entrate, entro il giorno 5 di ciascun mese e con modalità telematiche definite d’intesa, l’elenco dei soggetti che nel mese precedente sono stati ammessi a fruire dell’agevolazione e l’importo del credito d’imposta concesso, nonché le eventuali variazioni e revoche, anche parziali.
L’Agenzia delle entrate in fase di elaborazione dei modelli F24 presentati dai contribuenti, verifica che i contribuenti stessi siano presenti nell’elenco dei beneficiari trasmesso dal Ministero della salute e che l’ammontare del credito d’imposta utilizzato in compensazione non ecceda l’importo indicato in tale elenco, pena lo scarto del modello F24, tenendo conto anche delle eventuali variazioni e revoche successivamente trasmesse dallo stesso Ministero.
L’ammontare complessivo del credito d’imposta utilizzabile in compensazione può essere consultato dai soggetti beneficiari accedendo al “cassetto fiscale” attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate.


 

Bonus per impianti di compostaggio presso centri agroalimentari

 


Definite le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta riconosciuto per le spese sostenute per l’installazione e messa in funzione di impianti di compostaggio presso i centri agroalimentari presenti nelle regioni Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, e approvato il modello di comunicazione con le relative istruzioni (AGENZIA DELLE ENTRATE – Provvedimento 14 marzo 2022, n. 80989)

La legge di bilancio per il 2022 ha previsto un credito d’imposta per le spese documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2022, relative all’installazione e messa in funzione di impianti di compostaggio presso i centri agroalimentari presenti nelle regioni Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia. L’agevolazione è richiesta dal gestore del centro agroalimentare purché l’impianto di compostaggio possa smaltire almeno il 70 per cento dei rifiuti organici (rifiuti biodegradabili di giardini e parchi, rifiuti alimentari e di cucina prodotti da nuclei domestici, ristoranti, uffici, attività all’ingrosso, mense, servizi di ristorazione e punti vendita al dettaglio e rifiuti equiparabili prodotti dagli impianti dell’industria alimentare) prodotti dal medesimo centro agroalimentare (articolo 1, commi da 831 a 834, della legge 30 dicembre 2021, n. 234).
Il credito d’imposta è attribuito nella misura del 70 per cento delle spese documentate, rimaste a carico del contribuente, sostenute entro il 31 dicembre 2022.
L’agevolazione si applica nel rispetto delle condizioni e dei limiti previsti dal regolamento (UE) n. 1407/2013 della Commissione, del 18 dicembre 2013, relativo all’applicazione degli articoli 107 e 108 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea agli aiuti “de minimis”.
Il provvedimento in oggetto definisce le modalità di applicazione e di fruizione del credito d’imposta, al fine del rispetto del limite di spesa pari a 1 milione di euro per l’anno 2023, e approva il modello di Comunicazione, con le relative istruzioni, da presentare all’Agenzia delle entrate per beneficiare del credito d’imposta.
In particolare, è previsto che la Comunicazione delle spese sostenute sia effettuata nell’anno 2023, nei termini che saranno definiti con successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate. Tenuto conto dell’esigenza espressa dal legislatore di garantire il rispetto del limite di spesa, dopo aver ricevuto le comunicazioni degli importi, l’Agenzia determina la quota percentuale del credito effettivamente fruibile, in rapporto alle risorse disponibili. La suddetta percentuale sarà resa nota con successivo provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro 10 giorni dalla scadenza dei termini di presentazione.
Al fine di consentire all’Agenzia delle entrate la verifica del rispetto limite di spesa, il credito d’imposta è utilizzabile dai beneficiari esclusivamente in compensazione.


 

Deducibilità contributi recuperati dall’Inps per indebita applicazione massimale contributivo

 

L’Agenzia deIle Entrate ha chiarito che i contributi previdenziali pregressi per indebita applicazione del massimale contributivo, recuperati dall’Inps con diffida nei confronti dell’ex datore di lavoro, sono deducibili nel periodo d’imposta in cui sono effettivamente rimborsati all’ex datore di lavoro. L’onere può essere documentato dalla CU rilasciata dall’ex datore di lavoro con l’inserimento di un’annotazione a contenuto libero con il codice ZZ (Risposta 15 marzo 2022, n. 117).

Il caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate riguarda la deducibilità dei contributi pregressi dovuti per indebita applicazione del massimale contributivo, recuperati dall’Inps nei confronti dell’ex datore di lavoro mediante diffida per omissione contributiva.
Nella fattispecie, l’omissione è stata determinata dalla mancata comunicazione al datore di lavoro dell’esistenza di periodi utili o utilizzabili ai fini dell’anzianità contributiva antecedenti il 1° gennaio 1996 (versamenti contributivi figurativi per il servizio di leva).
Le norme in materia previdenziale infatti prevedono l’applicazione di un massimale annuo della base contributiva e pensionabile per i lavoratori che si iscrivono a forme pensionistiche obbligatorie a far data dal 1°gennaio 1996 (cd. “nuovi iscritti”) e privi di anzianità contributiva precedente. Per coloro che vantano anzianità contributiva già maturata in forme pensionistiche obbligatorie entro il 31 dicembre 1995 (cd. “vecchi iscritti”), il citato massimale annuo non trova applicazione con la conseguenza che l’intera retribuzione imponibile viene assoggettata a contribuzione previdenziale. A tal fine il lavoratore è tenuto a comunicare al datore di lavoro la propria posizione previdenziale.


L’Agenzia delle Entrate ha osservato che la maggior quota contributiva a carico del contribuente, derivante dall’erronea applicazione del massimale contributivo, che lo stesso è tenuto a restituire all’ex datore di lavoro, costituisce sostanzialmente un’integrazione di contributi obbligatori per legge, a suo tempo non versati.
Pertanto rientrano tra i “contributi previdenziali ed assistenziali versati in ottemperanza a disposizioni di legge” che le disposizioni in materia di IRPEF annoverano tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo, ai fini della determinazione della base imponibile ai fini IRPEF.
L’Agenzia delle Entrate precisa che detti oneri si deducono secondo il criterio di cassa. Pertanto, ai fini della deducibilità, occorre fare riferimento al periodo di imposta in cui il lavoratore (contribuente) rimborsa tali oneri all’ex datore di lavoro e non all’annualità in cui l’ex datore di lavoro è stato chiamato a versare (ed ha versato) la maggior quota contributiva a carico del dipendente regolarizzando le omissioni contributive obbligatorie.
I contributi in questione, pertanto, vanno indicati nel rigo della dichiarazione dei redditi dedicato ai “Contributi previdenziali e assistenziali” relativa al periodo d’imposta in cui tali contributi sono restituiti all’ex datore di lavoro (Rigo E21).
Secondo l’Agenzia delle Entrate, il sostenimento dell’onere può essere documentato mediante una certificazione unica (CU) rilasciata dall’ex datore di lavoro che attesti le somme oggetto di deduzione con l’inserimento di un’annotazione a contenuto libero (con il codice ZZ).

 

Terzo Settore: regime di incompatibilità tra volontario e rapporto di lavoro

 


In attuazione della disciplina del codice del Terzo Settore, forniti chiarimenti sul regime di incompatibilità tra volontario e rapporto di lavoro (Ministero del lavoro e delle politiche sociali – Nota 10 marzo 2022, n. 4011).

Nello specifico, è stato chiesto se il rapporto di lavoro intercorrente tra un determinato soggetto e un Comitato Regionale sia o meno compatibile con l’attività che il medesimo soggetto svolga in qualità di volontario presso (un ente di base) o un Comitato Regionale di diversa Regione appartenente alla medesima rete nazionale, considerata la distinzione esistente tra il datore di lavoro e l’ente presso il quale il volontario opera e la reciproca autonomia.
L’articolo 17 comma 5 del Codice del Terzo settore sancisce il principio della incompatibilità della qualità di volontario con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria, prevedendo altresì una deroga limitata alla legislazione delle province autonome di Trento e Bolzano di cui all’integrazione apportata dall’articolo 5 comma 1, lett. a) del d.lgs. 105/2018.
La previsione ha quindi portata ampia e generalizzata, come si evince dal tenore generale della stessa, che fa riferimento a “qualsiasi rapporto di lavoro” e ricomprende anche le entità tramite le quali il socio o associato svolge la propria attività di volontario. Essa va coerentemente rapportata al più ampio inquadramento fornito dai commi 2 e 3 dello stesso articolo 17, secondo cui nel definire il volontario viene innanzitutto evidenziato quale requisito caratterizzante quello della libera scelta, della personalità, spontaneità, gratuità e dell’assenza di finalità di lucro, neanche indirette; in secondo luogo, si prescrive che l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo, vietando altresì rimborsi spese di tipo forfetario.
Tali prescrizioni rispondono alla finalità di valorizzare la libera scelta della persona come consapevole, informata e non condizionata da uno stato di bisogno, onde preservare la genuinità dell’attività tipica di volontariato, finalizzata a soddisfare bisogni altrui che vadano a beneficio della comunità e del bene comune e non di interessi specifici o di parte, sicché l’attività di volontariato esula da qualunque vincolo di natura obbligatoria. Il volontario deve potersi sentire sempre libero di recedere dalla propria scelta, revocando in qualsiasi momento la disponibilità dimostrata, senza condizioni o penali, poiché la sua attività risponde esclusivamente ad un vincolo morale. Al contempo, infine, il citato articolo 17 comma 5 intende assicurare una tutela del lavoratore da possibili abusi legati ad attività che non rispondono alle caratteristiche sopra delineate della volontarietà.
Le disposizioni sopra richiamate devono essere poste in relazione con la profilazione organizzativa in cui ciascuna delle entità componenti di una struttura complessa come una rete associativa o un analogo ente associativo di secondo livello sono caratterizzati, anche sotto il profilo statutario, da autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale e operativa.
Quanto sopra considerato, sotto il profilo formale non appare ravvisabile una situazione di contrarietà della situazione prospettata nel quesito rispetto al dettato dell’art. 17, comma 5 del Codice del Terzo settore, considerato che l’ente datore di lavoro e l’ente che si avvale dell’operato volontario, con riferimento alla medesima persona, risultano a tutti gli effetti soggetti distinti e separati.